(titolo originale: La Fée Carabine, Gallimard, 1987)
I edizione Feltrinelli: 1992
Siccome nessuno reagisce, il Piccolo si avvicina a me e Stojilkovicz.
"È vero, zio Stojil, ho visto una fata che ha trasformato un tizio in fiore."
"Meglio così che il contrario," risponde Stojil senza togliere gli occhi dalla scacchiera.
"Perché?"
"Perché il giorno in cui le fate trasformeranno i fiori in tizi, la campagna diventerà infrequentabile."
A Belleville può succedere veramente di tutto.
Vecchietti uccisi a rasoiate, vecchietti che uccidono sfoderando con assurda precisione e velocità vecchie rivoltelle, vecchietti che alimentano inconsapevolmente il mercato della droga parigina.
Cosa sta succedendo?
É quello che si chiede anche Benjamin Malaussène, che nel frattempo ha spostato i suoi eminenti servigi di capro espiatorio alle Edizioni del Taglione e si ritrova, con il resto della famiglia, ad accudire dei simpatici vecchietti, per non farli cadere nel girone della droga. Ebbene sì, perchè a quanto pare gli anziani di Belleville si sono dati al consumo smodato di sostanze stupefacenti, e la tribù s'è presa la briga di distrarli, di non renderli vittima dell'inutilità che apparentemente sembrano rivestire all'interno della società.
Ovviamente, questa sua vicinanza con i protagonisti delle beghe del momento, rende Benjamin il maggiore indiziato di tutti i delitti che vengono commessi, tra personaggi senza scrupoli, che hanno fiutato le sue peculiarità e intendono servirsene senza battere ciglio, poliziotti che non riescono a concepire la capacità del nostro di caccarsi nei guai senza muovere assolutamente un dito ed ex-guardie notturne che portano a giro per la città le anziane signore del quartiere in un vecchio autobus riadattato a salottino.
Questo romanzo è interamente fondato sull'enorme distacco tra l'apparenza e l'essenza, tra l'essere e il fare, in un continuo gioco di rovesciamenti di medaglie che lasciano stupiti i lettori, e la faccenda su cui si regge tutta la baracca, così strana, rivela in realtà un intrigo di fondo dove ogni pedina gioca un ruolo fondamentale e dove tutto finisce sempre per tornare al suo posto. Ma, ovviamente, l'unico fuori posto è sempre Ben, che suo malgrado si ritrova sempre immerso nei guai fino al collo. Ma tanto, che ve lo dico a fà, riuscirà a scamparla anche stavolta.
A mio parere questo è il libro meglio articolato della saga, insieme a Singor Malaussène, che rappresenta l'apice della scrittura pennacchiana (sì, lo so, è brutta come parola, ma che ci posso fare? Con tutto che lui nemmeno si chiama realmente Pennac, ma Pennacchioni...è geniale anche nel cognome :°D). Lo stile è inconfondibile, una sorta di marchio di fabbrica, con continui cambi di registro, figure retoriche ardite e l'impressione di abitare nelle menti dei personaggi per tutta la durata del romanzo. Veramente degno.
voto: 9/10
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