Dove: MLAC - Museo Laboratorio di Arte Contemporanea
Quando: 05/03/2009 - 19/03/2009
Info: Piazzale Aldo Moro 5, Tel.06/49910365, Lun-Ven ore 14-19.00, Ingresso Libero
Giovedì 5 marzo 2009, presso il MLAC – Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea, Sapienza Università di Roma, è stata inaugurata la mostra fotografica di Roberto Vignoli, Malecón, a cura di Giorgia Calò. L’opera presentata in occasione di questa esposizione è un’unica fotografia lunga 19 metri raffigurante il lungomare cubano, Malecón, meta di un viaggio di Vignoli a seguito di una mostra commissionatagli dall’ambasciata cubana.
La “fotona”, così come ama chiamarla l’artista, nasce dall’esigenza di documentare l’architettura del posto e le sue evoluzioni rispetto ai decenni passati: essendo proprio il lungomare la parte urbana più rappresentativa delle trasformazioni verificatisi, Vignoli ha deciso di cogliere in un unico scatto la completezza e, allo stesso tempo, l’eterogeneità architettonica del lungo viale.
Per l’esecuzione tecnica del lavoro, apparentemente semplice e non arzigogolato, sono stati impiegati sei lunghi mesi di lavoro: nell’arco di tempo sono stati decisi colori, soggetti da immortalare ed eventuali lavori di post-produzione da eseguire per poter rendere al meglio le sensazioni forti provate da Vignoli durante la sua esperienza a l’Avana e, ovviamente, cercare di comunicarle al pubblico.
Oltre alla seconda fotografia più lunga del mondo, solo per qualche centimetro infatti non è entrata nel guinness del primati, sono state proiettate su televisori al plasma otto immagini in bianco e nero realizzate sempre durante l’esperienza cubana e che, a detta del fotografo, “…devono rappresentare anche il retro del Malecón e quindi cosa succedeva dietro di me mentre ero intento a fare i miei scatti…”: bambini che si tuffano dai muretti, gente che fa il bagno accanto allo scarico delle fogne sempre col sorriso in viso, senza grandi pretese; rappresentazioni naturalistiche di una Cuba ancora incontaminata dall’industrializzazione moderna.
A. T. - Per iniziare, una domanda a bruciapelo: ti senti più reporter o artista?
R. V. - Ormai senz'altro artista. Non ho più tempo per seguire le novità del mondo e documentarle.
A. T. - Per fare buone foto, sia artistiche che non, preferisci affidarti ad una tecnica raffinata o a forti emozioni?
R. V. - La tecnica bisogna impararla a fondo, così come la grammatica per uno scrittore, per poterla violare; e violare le regole è sempre una forte emozione.
A. T. - Molti criticano l’utilizzo di programmi come Photoshop per la rifinitura delle immagini in quanto convinti che la post-produzione non sia un segno di professionalità. Tu cosa ne pensi?
R. V. - Al tempo della pellicola lo stampatore faceva più o meno le stesse cose, ma con più fatica. Photoshop è un mezzo per raggiungere gli obiettivi prefissati. Lo dico sottolinenando però che per "4 artiste a Roma" (Mostra di Roberto Vignoli, Expotrastiendas di Buenos Aires 2007; Galleria Cermen Montilla, L’avana, Cuba, aprile 2008) ho utilizzato la tecnica del light painting (si basa sull'uso della luce artificiale per disegnare, modellare e creare forme e linee) proprio per non utilizzare la post-produzione e gestire la l'immagine nella sola fase di scatto.
A. T. - Preferisci utilizzare per i tuoi lavori una macchinetta analogica o digitale?
R. V. - Dipende da cosa devo fare, spesso uso tutte e due; poi scelgo il risultato che mi piace di più.
A. T. - Tralasciando per un attimo il lavoro più propriamente tecnico del fotografo, secondo te per utilizzare la fotografia in campo artistico bisogna rischiare sovvertendo le regole o basarsi sui metodi definiti accademici?
R. V. - Partire dai metodi definiti accademici e provare a sovvertirli.
A. T. - Nella conferenza tenuta qualche giorno fa al MLAC, hai parlato con gli studenti di ambiguità artistica. A cosa ti riferivi quando parlavi di opere d’arte il cui mistero funge da stimolo per il pubblico?
R. V. - Tanto più un soggetto è in grado di soddisfare le singole immaginazioni personali di coloro che lo guardano, anche se in contrasto tra loro, tanto più un’opera è riuscita. Questa è, ovviamente, soltanto la mia opinione.
A. T. - Le tue foto, dunque, pensi siano ambigue, misteriose, stimolanti?
R. V. - Il mio percorso tende a questo, ma non sta a me dire se e quando ci sia riuscito.
A. T. - Hai un messaggio particolare da comunicare agli spettatori con l’ausilio delle tue foto?
R. V. - Sì: siate liberi di pensare quello che vi pare. Il mio obiettivo è di stimolare il pensiero. Se non stimolo nulla, ho fallito.
A. T. - Hai esposto i tuoi lavori in gallerie internazionali. Qual è il tuo rapporto con le istituzioni museali in genere e con i curatori?
R. V. - È indispensabile raggiungere una buona intesa con tutto lo staff, altrimenti ognuno va per conto suo e si rimane insoddisfatti. Finora ci sono riuscito.
A. T. - C’è appena stato il vernissage della mostra “Roberto Vignoli: Malecón” al MLAC, presso La Sapienza. Parlami del tuo progetto.
R. V. - Inizialmente volevo solo documentare lo stato architettonico della città. Infatti, in una prima fase, ho lavorato con foto "a regola d'arte". Poi, come al solito, ho sentito un gran bisogno di fare come mi pare ed è nata la "fotona" di 19 metri.
A. T. - Possiamo definire il tuo viaggio a Cuba un’esperienza importante nell’ambito della tua carriera artistica?
R. V. - Senz'altro, ma soprattutto è stata importante umanamente. Il popolo cubano è straordinario. In genere, nel mondo, la gente è sempre meravigliosa, sebbene in alcuni luoghi ci voglia un po' di tempo in più per instaurare un contatto. Ma quella di Cuba è davvero speciale.
A. T. - Un’ultima domanda: dai un consiglio a tutti quei giovani che vorrebbero, come te, intraprendere la carriera di fotografo.
R. V. - Non vi arrendete mai. Se tutto dovesse andare storto prendetevi una vacanza e poi ricominciate d’accapo.